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La politica italiana è lontana dalle reali esigenze della gente
Malgoverno tra riciclati incompetenti e disonesti
Enrico De Nicola firma la Costituzione alla presenza di Alcide De Gasperi e Umberto Terracini
Quale Consiglio di Amministrazioni, quali azionisti, quali soci prenderebbero mai una persona incompetente per gestire la propria azienda? Nessuno sano di mente certamente. Allora perché gli italiani eleggono politici incompetenti per farsi governare? Ormai è universalmente riconosciuto che da 20 anni il nostro Paese non è governato in maniera adeguata e che sia ormai l’unico tra quelli industrialmente evoluti a non essere ancora uscito dalla crisi economica mondiale dipende proprio da scelte sbagliate e dilettantistiche. Unico paese altamente industrializzato del mondo, ci ritroviamo con una classe politica che non viene reclutata dalle file di chi ha fatto la gavetta nelle amministrazioni locali e periferiche ma chi si è messo in mostra in qualsiasi altro modo. Senato e Camera sono pieni di attori, sportivi, vedove, orfani, personaggi famosi (per la maggior parte grazie alla televisione). Pochi quelli che hanno avuto esperienze serie e formative.
Un tempo arrivare in Parlamento era una cosa molto complessa, il coronamento di una lunga, lunghissima carriera che cominciava nella sezione di partito e proseguiva con incarichi politici e amministrativi man mano sempre più impegnativi. Figurarsi, poi, fare i ministri. Tutti i vecchi partiti, i tanto vituperati vecchi partiti, si impegnavano nella formazione e nell’istruzione della loro classe dirigente. Era famosissima la “scuola quadri del Partito” Comunista Italiano: le Frattocchie. Una villa padronale avuta in lascito da un ricco simpatizzante, tre palazzine immerse nel verde, nella frazione appunto di Frattocchie, nel comune di Marino in provincia di Roma. Lì c'era lo "Istituto di studi comunisti Palmiro Togliatti". Fondato da Edoardo D' Onofrio «nei primissimi anni del dopoguerra sul modello delle scuole sovietiche, è rimasto nella memoria di migliaia di deputati, senatori, segretari provinciali, funzionari di sezione. Soprattutto degli alunni degli Anni 50. Arrivavano a gruppi di cinquanta o di cento. Si alzavano alle sette, un po' di flessioni per mantenere il fisico asciutto, una rapida colazione e via, a studiare Stalin, la Rivoluzione d' ottobre, i piani quinquennali sovietici». Ma anche gli altri partiti curavano la formazione della classe dirgente. Basti pensare al grande democristiano catanese, Vito Scalia, che dai suoi centri Sicilia Domani e il Cesaps (Centro studi di azione politica e sociale) dai quali sono usciti Rino Nicolosi, Sergio D’Antoni, Raffaele Lombardo, Giovanni Burtone, solo per fare i nomi maggiormente conosciuti.
Per avere le idee più chiare sui requisiti che dovrebbe possedere una buona classe politica, si dovrebbe leggere un piccolo libretto di Maw Weber, il pensatore tedesco dei primi del secolo scorso, che contiene due saggi del 1917 e del 1919 su “La Politica come professione”. Invece adesso si bada alla fedeltà, alla capacità di urlare in televisione, alla notorierà del nome, all’avvenenza fisica e altro ancora.
A questa prima categoria di politici attuali si affianca la seconda: i riciclati e quelli che vogliono stare a galla ad ogni costo. Gente che, non sapendo fare nulla, vive di politica. Persone che, pur avendo requisiti e competenze accettabili, non si rassegnano ad uscire di scena benché sia ormai a tutti chiaro che il loro percorso sia ormai giunto al capolinea. Abbiano o meno avuto successo. Bill Clinton, Tony Blair, Nicholas Sarkozy, avendo più o meno brillantemente conclusa la loro parabola, non hanno più pensato a tornare in politica e fanno altro. Magari mettendo la loro esperienza a servizio di altre cause importanti. Qui in Italia non se ne vuole andare a casa mai nessuno, della serie: “Tornano sempre”.
Infine, la terza categoria i disonesti o poco onesti. Quelli che utilizzano le cariche politiche per i loro vili “affaracci” personali. Magari dicendo che l’indennità politica deve essere ridotta o addirittura sparire. Tanto, nella loro ipocrita maschera di disinteresse, possono fare a meno di quel denaro perché hanno ben altre fonti a cui attingere.
Tutti coloro che appartengono a queste tre categore, dunque, “vivono di politica”.
Ben altra cosa è “colui che vive per la politica”. Scrive Weber: «Persino nelle posizioni formalmente modeste il politico di professione ha coscienza d’influire sugli uomini, di partecipare al potere su di essi, ma ha soprattutto la sensazione di avere tra le mani un filo conduttore dei fatti storicamente importanti , d’innalzarsi al di sopra della quotidianità. Ma il problema che gli si pone, ora, è questo: attraverso quali doti egli può sperare di essere all’altzza di tale potere (per quanto limitato possa essere nei singoli casi) e della responsabilità che gliene deriva?». Con questo entriamo nel capo delle questioni etiche; a queste, infatti, appartiene la domanda: che tipo di uomo si deve essere perché ci venga concesso di mettere le mani negli ingranaggi della storia?». Una domanda che noi italiani, negli ultimi 20 anni, non abbiamo neppure pensato di porci: adesso è venuto il momento di farlo.
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