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Un decreto del Governo vorrebbe cancellare, da ottobre, la sezione del Tribunale amministrativo di Catania
La “guerra santa” in favore del Tar
L'Aula Consiliare durante la riunione a favore del Tar;
La settimana scorsa il Governo ha abolito il Tar di Catania. Infatti, l’articolo l’art. 18 comma del DP Pubblica Amministrazione, “Soppressione di enti e uffici”, così recita: “a decorrere dal 1° ottobre 2014 sono soppresse le sezioni staccate di Tribunale amministrativo regionale. Resta ferma la sezione autonoma per la Provincia di Bolzano. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro il 15 settembre 2014, sono stabilite le modalità per il trasferimento del contenzioso pendente presso le sezione soppresse, nonché delle risorse umane e finanziarie, al tribunale amministrativo della relativa regione.
Dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, i ricorsi sono presentati presso la sede centrale del tribunale amministrativo regionale”.
Immediatamente sono insorti tutti, politici, amministratori locali, giudici e avvocati. Il Tar di Catania è infatti il terzo d’Italia, dopo Roma e Napoli, con oltre 3334 ricorsi nel 2013. La sua chiusura, fanno notare in molti, oltre a fare aumentare i costi per la pubblica amministrazione, penalizzerebbe imprese e cittadini perché aumenterebbero a dismisura i tempi necessari per qualsiasi pronunciamento.
Tantissime iniziative sono state messe in atto. «Si è trattato di un piccolo miracolo: non c’era solo Catania, ma, tanti altri (senatori, deputati regionali e nazionali e sindaci) uniti per combattere questa “guerra santa”».
Così il sindaco di Catania Enzo Bianco ha definito la riunione che si è tenuta nella Sala Consiliare di Palazzo degli elefanti a difesa del Tar di Catania. Durante l’incontro è stato firmato un documento contro la chiusura che verrà inviato al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio, ai ministri interessati e a tutti i capigruppo delle Camere.
A sottoscriverlo sono stati, tra gli altri, il sindaco di Messina Renato Accorinti, presente alla riunione, e che ha aderito come tutti i primi cittadini dei capoluoghi della Sicilia orientale.
«Il fatto che - ha sottolineato Bianco - all’incontro fossero presenti i rappresentanti di tutte le forze politiche, sociali e produttive e gli operatori della Giustizia, i quali, ciascuno con le proprie ragioni, sono stati compatti nel chiedere di mantenere il Tar a Catania, significa che la strada percorsa è quella giusta e che abbiamo una grande forza. Spero solo che la norma riguardante i Tar non sia inserita in un decreto legge così avremo più tempo. In ogni caso siamo pronti alla massima mobilitazione».
«Il provvedimento - ha aggiunto - è privo di ogni ragionevolezza, innanzitutto perché, paradossalmente, chiudendo Catania non si riducono le spese, ma aumentano. Anche il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, ci ha fatto sapere che intende firmare la nostra richiesta, così come il presidente della Regione siciliana Rosario Crocetta”.
«Bisogna quindi - ha spiegato Bianco - che il Governo nazionale agisca secondo coerenza. Non sta né in cielo né in terra che Catania, e con essa la Sicilia orientale, debba pagare un prezzo ingiusto per il fatto di essere la più grande città italiana non capoluogo di regione. È bene che si facciano risparmi anche nel campo della Giustizia amministrativa, ma chiudano le sezioni del Tar in cui vi è meno lavoro».
«Quello di Catania è il terzo Tar d’Italia, dopo Roma e Napoli, serve cinque province siciliane - ha dichiarato Bianco - e ha quattro sezioni.
Se la norma dovesse essere ancora contenuta nel decreto legge presenteremo degli emendamenti durante la conversione. Se invece dovesse essere contenuta in un disegno di legge la nostra azione sarà meno urgente».
Alla riunione di hanno partecipato, in rappresentanza del Tar di Catania, il consigliere Gabriella Guzzardi e il segretario generale Maria Letizia Pittari.
Poche ore dopo, in un’altra zona di Catania, altre persone celebravano un altro sindaco di Catania, Giuseppe Giuffrida De Felice, precisando che… quello sì che era “u sinnicu”.
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